musica

Gran finale Capannori Underground Festival

– di Chiara Di Vito –   Gran finale per il Capannori Underground Festival che – lo scorso 18 febbraio al Polo Culturale Artemisia di Capannori – ha chiuso questa edizione con un incontro davvero speciale. Protagonista della serata è stato Andy dei Bluvertigo, intervistato dal direttore artistico del Festival, Gianmarco Caselli, e dal noto conduttore di Videomusic, Rick Hutton. Una conversazione che ha rapito il pubblico, unendo aneddoti, risate e riflessioni sulla carriera e la vita di uno degli artisti più iconici degli anni ’90. L’incontro è stato preceduto dai saluti istituzionali di Claudia Berti, assessora alla cultura del Comune di Capannori e da un intervento dell’artista Enrica Giannasi, presentata da Chiara Venturini, che ha condiviso il suo approccio creativo nella realizzazione delle locandine per le ultime edizioni del festival, nonché per il CRP Collettivo Rivoluzionario Protosonico. Le sue opere, sempre originali e ricche di significato, hanno aggiunto una dimensione visiva unica all’atmosfera del Festival, creando un legame forte tra arte e musica.   Quando Andy è entrato in scena, l’entusiasmo della platea è stato palpabile. Era evidente che per molti, essere così vicini a uno dei propri idoli musicali fosse un momento da non dimenticare. La serata è volata via in un attimo, tra risate e chiacchiere sui mitici anni ’90, un periodo che ha segnato la vita di molti presenti. Eppure, non sono mancati momenti di grande intensità emotiva, come quando Andy ha parlato, con grande sincerità, del suo rapporto complicato con il padre. È stato un momento toccante, che ha reso la serata ancora più speciale, evidenziando la profonda umanità di questo artista.   Al termine dell’intervista, Erika Citti ha consegnato ad Andy il prestigioso Premio Capannori Underground Festival, un riconoscimento che celebra la sua carriera e il suo contributo alla musica.     Ma la serata non si è conclusa con la premiazione: Andy ha voluto regalare al pubblico un’esperienza unica, suonando dal vivo alcuni dei suoi brani preferiti, da Battiato a Bowie, confermando ancora una volta la sua versatilità e passione per la musica. Il gran finale ha superato ogni aspettativa: un’esibizione esplosiva che ha visto Andy e Rick Hutton unirsi al CRP Collettivo Rivoluzionario Protosonico per una performance inedita di uno dei nuovi pezzi che saranno presenti nel nuovo album del gruppo presto in uscita.     Insieme, hanno suonato un brano che mescolava tribalismo e psichedelia, con Andy che alternava elettronica e sax, Hutton e Andrea Ciolino alle chitarre elettriche, Gianmarco Caselli alle percussioni e Chiara Venturini alle tastiere. Il risultato è stato un mix di sonorità avvolgenti e sperimentali che ha coinvolto il pubblico in un viaggio musicale indimenticabile. La serata si è conclusa con un’esplosione di energia, un segno indelebile del successo di questa edizione del Festival.     Un bilancio positivo per il Capannori Underground Festival, che anche quest’anno ha saputo coniugare musica, arte e cultura, creando un’atmosfera unica e coinvolgente. Il Festival non è solo una rassegna di spettacoli, ma un luogo dove la musica e l’arte si incontrano e si arricchiscono reciprocamente, offrendo al pubblico un’esperienza che va oltre il semplice intrattenimento.       Il Capannori Underground Festival – Lucca Underground Festival è organizzato da V.A.G.A. (Visioni Atipiche Giovani Artisti) con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e del Comune di Capannori in collaborazione con ARCI Lucca e Versilia, Museo Athena, Artemisia, Sistema Museale Territoriale della Provincia di Lucca, Anffas, Il Restauro, Effeottica Lucca e la media partnership di La Settima Base, Riserva Indie e Radio Sankara.  

Archetti Maestri al Capannori Underground Festival

– di Chiara Di Vito –   Archetti Maestri e Dome La Muerte protagonisti del terzo appuntamento del Capannori Underground Festival tenutosi lo scorso sabato 11 gennaio, eccezionalmente nella sala del Consiglio Comunale in Piazza Aldo Moro a Capannori.     Un evento di grande impatto per coloro che hanno avuto l’opportunità di parteciparvi e che conferma la grande forza attrattiva di un festival che in pochi anni è diventato un punto di incontro per artisti così diversi tra loro ma uniti dalla voglia di fare musica insieme. Il Capannori Underground Festival – grazie al prezioso lavoro del suo direttore artistico Gianmarco Caselli e di tutte le persone che collaborano al progetto – è riuscito a creare una comunità e quello spazio di libertà d’espressione di cui le nuove generazioni hanno sempre più bisogno.     Il terzo appuntamento, dicevamo, ha visto protagonista lo storico cantante degli Yo Yo Mundi Paolo Enrico Archetti Maestri – intervistato da Gianmarco Caselli, Chiara Venturini e Dome La Muerte, che al festival è ormai di casa essendo stato ospite di tutte le ultime edizioni. Ripercorrendo la storia degli Yo Yo Mundi, che proseguono tuttora la loro attività musicale con passione e tenacia, Archetti Maestri ha raccontato al numeroso pubblico presente moltissimi aneddoti con la vitalità di chi ha fatto della musica la propria esistenza. In chiusura, il cantante ha inoltre presentato Amorabilia, il suo primo lavoro da solista di cui ha eseguito alcuni brani. Archetti Maestri ha ricevuto il Premio Capannori Underground Festival per la diffusione della cultura Underground.     A seguire, il CRP Collettivo Rivoluzionario Protosonico ha accompagnato musicalmente la proiezione di Visioni Underground – la rassegna di fotografie degli attivisti del Festival – per l’occasione arricchita dalle opere dei ragazzi del Liceo Artistico “A. Passaglia” di Lucca. Opere, quelle dei ragazzi, esposte in una mostra allestita al Museo Athena di Capannori tra novembre e dicembre dello scorso anno, e che sono state protagoniste del secondo appuntamento di questa edizione del Capannori Underground Festival. Una serata ricca di sorprese quella dello scorso sabato, che è riuscita a mettere insieme diverse generazioni di artisti, uniti dalla voglia di esprimersi per costruire, insieme, uno spazio di ricerca espressiva libera dall’omologazione culturale e da pregiudizi di ogni forma.     Una voglia di collaborare, unire le forze, che si è sintetizzata nel finale quando, per accompagnare musicalmente la performance di Enzo Correnti – l’Uomo Carta, Archetti Maestri e Dome La Muerte hanno suonato insieme al CRP un brano dell’album di prossima uscita, la coinvolgente e tribale Baccante.   Il quarto e ultimo appuntamento di questa edizione del Capannori Underground Festival si terrà sabato 18 gennaio alle ore 17.15, sempre al Polo Culturale Artemisia di Capannori, e vedrà protagonisti Andy dei Bluvertigo. Ingresso libero su prenotazione fino ad esaurimento posti scrivendo una mail a associazionevaga@gmail.com.   Il Capannori Underground Festival – Lucca Underground Festival è organizzato da V.A.G.A. (Visioni Atipiche Giovani Artisti) con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e del Comune di Capannori in collaborazione con ARCI Lucca e Versilia, Museo Athena, Artemisia, Sistema Museale Territoriale della Provincia di Lucca, Anffas, Il Restauro, Effeottica Lucca e la media partnership di La Settima Base, Riserva Indie e Radio Sankara.  

La musica collettiva e resistente degli Yo Yo Mundi

– di Chiara Venturini – Sabato 11 gennaio al Capannori Underground Festival sarà protagonista Paolo Archetti Maestri, cantante dello storico gruppo Yo Yo Mundi. Archetti Maestri sarà intervistato dal mitico Dome La Muerte e dal direttore artistico del Festival, Gianmarco Caselli. L’ingresso è libero su prenotazione fino ad esaurimento posti scrivendo una mail a associazionevaga@gmail.com Per l’occasione riproponiamo l’intervista che abbiamo fatto qualche mese fa ad Archetti Maestri   La musica collettiva e resistente degli Yo Yo Mundi  Intervista con Paolo Enrico Archetti Maestri   Yo Yo Mundi: uno dei tanti gruppi emersi nei primi anni ‘90, gli ultimi momenti di gloria della musica alternativa italiana; nati in un periodo in cui appunto tutto sembrava possibile e la creatività sprizzava da tutte le parti, gli Yo Yo Mundi proseguono tuttora la loro attività musicale con tenacia e passione, tra collettivismo e impegno. Abbiamo intervistato Paolo Enrico Archetti Maestri, il cantante, chitarrista e portavoce del gruppo. Gli Yo Yo Mundi, una realtà degli anni ‘90 che va avanti con continuità senza mai fermarsi. Te lo saresti mai aspettato? Lo abbiamo voluto fortemente ed è così ancora oggi, anzi oggi più che mai! Quando io e gli altri componenti degli Yo Yo Mundi ci siamo messi insieme, dissi loro che il mio sogno era sempre stato quello di scrivere canzoni e di suonare da professionista (avevo già sfiorato questa possibilità con due band). Il gruppo nasce con  Eugenio Merico (batterista), praticamente subito abbiamo coinvolto Andrea Cavalieri (bassista), e dopo un anno di prove e composizione nella band è entrato Fabio Martino (fisarmonica e tastiere), all’epoca quindicenne. Questa è la formazione originaria degli Yo Yo, il nostro compleanno cade il 5 marzo 1989, in occasione del nostro primo live in quattro. Abbiamo subito avuto la percezione che poteva funzionare, perché noi quattro funzionavamo prima di tutto come persone e poi anche come musicisti, ognuno con la propria peculiarità, ma con la grande attitudine di aiutarci, sempre. E poi perché avevamo gli occhi che brillavano quando si parlava di musica. Infine ci voleva coraggio, spensieratezza, tenacia, determinazione e tanta voglia di emergere e a noi non mancava nulla di tutto questo. Ci siamo fatti i primi anni ‘90, con dei semplici demo e con quelli abbiamo ottenuto recensioni su diversi giornali nazionali (all’epoca c’erano tanti giornali specializzati e quasi tutti avevano uno spazio dedicato alla musica indipendente e ai demotape). E poi suonavamo ovunque senza avere neppure un disco, ma solo una grande intraprendenza e parecchia faccia tosta. Ed Eugenio già all’epoca si dimostrava abilissimo a trovare date e organizzare le continue trasferte.   Erano altri tempi, altre situazioni, contesti molto diversi da quelli in cui viviamo oggi. Erano situazioni in cui ci si doveva adattare a tutte le cose più pazzesche e bizzarre ma allo stesso tempo creative perché ci permettevano di crescere e diventare più abili e potenti ogni volta che riuscivamo a suonare da qualche parte (facevamo anche tutti i concorsi possibili vincendone diversi, era molto istruttivo parteciparvi perché spesso c’erano impianti belli e un pubblico vergine, non quello delle solite birrerie, c’era, all’epoca molta curiosità e molta disponibilità da parte del pubblico). A proposito di situazioni bizzarre… A volte non c’era neppure il palco e ricordiamo certi impianti audio luci… davvero spaventosi!! A un certo punto avevamo un po’ esaurito birrerie e pub in cui suonare e non ci piacevano neppure più tanto. Ci mancava qualcosa, allora abbiamo cominciato a suonare in strada e siamo arrivati anche in Francia, prima la Costa Azzurra e poi addirittura quindici giorni a Parigi, mantenendoci quasi completamente con quello che ci offrivano per strada mentre suonavamo le nostre canzoni e quelle di Paolo Conte (che anni dopo definì “selvatica” la nostra musica!). Quando siamo tornati ci siamo guadagnati dei palchi più importanti. Non avevamo letteralmente più paura di niente. Nel ‘91 abbiamo realizzato un album completamente autoprodotto intitolato “Nuovi oggetti di culto”, un disco che non è mai uscito perché noi volevamo fortemente essere prodotti da Gianni Maroccolo (Litfiba, CSI) e riuscimmo grazie a un amico giornalista, Marco Baratti, a incontrarlo e nacque immediatamente una simpatia, oltre a stima reciproca. Lui preferiva, giustamente, lavorare da zero con noi e le registrazioni acerbe di “Nuovi oggetti di culto” diventarono vecchie e inutili in un battibaleno. Con lui abbiamo realizzato prima un demo con alcuni inediti e poi, finalmente, l’anno successivo, cinque anni dopo la nascita del gruppo abbiamo registrato e dato alle stampe il primo album ufficiale del gruppo.  Quanto sono rimasti gli Yo Yo Mundi di un tempo? Quanto e come sono cambiati? I Litfiba dicevano: “Siamo cinque dita della stessa mano che sul palco si trasformano in pugno.” Noi eravamo in quattro e abbiamo voluto assolutamente trovare il quinto Yo Yo. Il desiderio si è materializzato nella persona di Fabrizio Barale (chitarra), che era l’assistente di studio dove registrammo l’album “Percorsi di musica sghemba” (Columbia – Sony, 1996). Finalmente anche noi potevamo diventare un pugno chiuso! Questa formazione a cinque è durata fino al 2013, poi Fabri cominciò a essere meno presente perché aveva cominciato a fare tour con l’amico Ivano Fossati (che fu nostro ospite ne “L’Impazienza”, 1999 e scrisse per noi la canzone “Il sud e il nord” e noi Yo Yo fummo ospiti nel suo album “La disciplina della terra”). Poi anche Fabio è andato a vivere in Svizzera (suona con i Vad Vuc, grande band ticinese!), la distanza e gli impegni, lavorativi e familiari, hanno  limitato assai la frequentazione artistica e così nel 2013 ci siamo trasformati in un collettivo. Fabio inizialmente è stato affiancato e poi sostituito da Chiara Giacobbe, violinista e cantante con noi da undici anni. A seguire abbiamo ospitato Simone Lombardo, suonatore di strumenti etnici che è a tutti gli effetti uno Yo Yo ad honorem. Così come Dario Mecca Aleina il nostro ingegnere del suono e Daniela Tusa l’attrice che collabora con noi da quasi dieci anni o ancora Ivano A. Antonazzo che non suona, ma è un artista che si occupa delle

Siberia compie 40 anni – I Diaframma lo celebrano con un tour di più di trenta date

– di Gianmarco Caselli – I Diaframma di Federico Fiumani hanno infiammato il Caracol di Pisa il 15 novembre scorso con una serata del tour celebrativo dei 40 anni di “Siberia”, il primo album della storica band fiorentina. Un tour agli inizi – quella del Caracol era solo la terza data – che ha in calendario più di trenta date e che si concluderà ad aprile del 2025. Era giusto e doveroso celebrare l’anniversario di un album fondamentale per la new wave italiana, classificato al settimo posto dei “100 dischi italiani più belli di sempre”, secondo la rivista Rolling Stone Italia. Prima del concerto abbiamo scambiato alcune veloci battute con un disponibilissimo Fiumani. Sei contento di questo tour? La risposta da parte del pubblico è positiva? Sì, c’è sempre bisogno del riscontro con il pubblico e già in queste primissime date vedo una bella risposta, una forte energia. Come senti Siberia oggi? Noi siamo stati espressione di un periodo particolare, gli anni ’80. È una musica che rispecchia quegli anni. Non credi che l’ondata revival anni ’80 di questo periodo sia da collegare agli eventi storici e sociali attuali  che in parte sono molto simili ad allora? In parte, certamente. Penso che non sia un caso che I Cure siano tornati con un album che si ricollega a Disintegration e che sia balzato in cima alle classifiche. Lo hai ascoltato? Ho fatto un ascolto e devo ascoltarlo ancora bene ma mi pare molto bello. Hai qualcuno in particolare che credi interpreti musicalmente questo periodo che stiamo vivendo? Credo che la realtà musicale giovanile lo stia interpretando molto bene. Dovendo indicare qualcuno in particolare, sicuramente Blixa Bargeld e Teho Teardo, anche se non rientrano fra i giovanissimi. Fiumani è in ottima forma, con capelli verdi e chitarra dello stesso colore (“L’ho comprata perché fa pandan con i capelli”, dice scherzando con il pubblico fra una canzone e l’altra), ripercorre durante la serata i brani di Siberia ma ovviamente anche degli altri album. E quello che ne viene fuori è un concerto immersivo nel sound dei Diaframma con una sala piena e entusiasta che non ha mai smesso di ballare. Il sound è inevitabilmente quello degli anni ’80, le musiche sono quelle, ma tutto appare davvero attuale, assolutamente non datato. La voce e la chitarra di Fiumani, affiancato da giovani e validi musicisti, sono immediate, energiche e sprigionano una “gioia improvvisa” che coinvolge inevitabilmente il pubblico. Alla fine del concerto Fiumani si è prestato per fare foto con i fan e firmare autografi. A questo proposito vi consigliamo di comprare il vinile di “Siberia” in edizione speciale per l’anniversario: vinile rosa + Cd contenente “Siberia e “Live in Modena ’85” + poster 50×70 del Siberia Tour ’85 e un Maxi Booklet di 16 pagine.      

La Bandabardò al Capannori Underground Festival

– di Chiara Di Vito – Successo per la Bandabardò protagonista del primo appuntamento del Capannori Underground Festival 2024. L’evento si è tenuto lo scorso 10 novembre al Polo Culturale Artémisia di Tassignano (Capannori) con la presentazione del libro della Bandabardò “Se mi rilasso collasso” (Baldini + Castoldi). Presenti Finaz, Don Bachi e Nuto e lo storico tastierista dei Litfiba, Antonio Aiazzi in veste di co-conduttore della serata insieme a Gianmarco Caselli, direttore artistico del Festival.     «È sempre emozionante – afferma Caselli – vedere al nostro Festival così tante generazioni riunite dalla passione per una band e, soprattutto, per una cultura alternativa a quella proposta dal mainstream. Sono felice di vedere sullo stesso palco Antonio Aiazzi e la Bandabardò, artisti così diversi tra loro uniti da una grandissima passione per la musica».   In apertura i saluti istituzionali dell’Assessora alla Cultura del Comune di Capannori Claudia Berti che ha ribadito l’importanza di una collaborazione fra Comune e Festival, che va avanti da dieci anni.     Al termine della presentazione del libro, il gruppo ha ricevuto il Premio Capannori Underground Festival per la diffusione della cultura Underground e, a seguire, i tre componenti della Bandabardò hanno eseguito a sorpresa alcuni dei brani storici del loro repertorio.       Una serata ricca di aneddoti, curiosità e momenti esilaranti, che hanno permesso al numerosissimo pubblico – la serata era in tutto esaurito – di ripercorrere 30 anni di storia della celebre band fiorentina.  Presenti anche tanti giovani che hanno avuto l’opportunità di conoscere personalmente i musicisti e farsi autografare il libro e i dischi.     Il Capannori Underground Festival proseguirà il 30 novembre alle ore 17.15 al Museo Athena di Capannori con Giovani Visioni Underground, una mostra dei ragazzi e delle ragazze del Liceo Artistico “A. Passaglia” di Lucca che verrà aperta da una performance di CRP Collettivo Rivoluzionario Protosonico.   Due appuntamenti del Festival in programma anche per il 2025. Il primo incontro sarà l’11 gennaio alle ore 17.15 al Polo Culturale Artémisia. Presenti Paolo Archetti Maestri voce e chitarra degli Yo Yo Mundi con la partecipazione di Dome La Muerte. La serata sarà inoltre arricchita dalla proiezione fotografica di Visioni Underground, accompagnata dalla performance di CRP Collettivo Rivoluzionario Protosonico e Enzo Correnti, l’Uomo Carta. Ultimo appuntamento per il 18 gennaio – sempre alle ore 17.15 al Polo Culturale Artémisia – con Andy dei Bluvertigo e la partecipazione di Master Mixo.   Tutti gli eventi del Capannori Underground Festival sono a ingresso libero su prenotazione fino ad esaurimento posti. È possibile prenotarsi scrivendo una mail a associazionevaga@gmail.com.    

Con Songs Of A Lost World i Cure ritrovano il suono perduto

– di Gianmarco Caselli –   Finalmente è arrivato. Dopo ben sedici anni e annunci disattesi sull’uscita di uno o addirittura più album, il primo novembre i fan di The Cure hanno potuto ascoltare il nuovo lavoro della band, Songs of a Lost World. L’attesa è stata lunghissima e, quando è stato chiaro che stavolta l’album sarebbe veramente uscito, piena di grandi aspettative. Aspettative alte, altissime, soprattutto dopo che è stato diffuso Alone, il primo singolo, che ha fatto sognare ai fan un altro lavoro alla pari di Disintegration (1989), forse l’album capolavoro della band. Lo stesso Robert Smith vi ha fatto riferimento affermando che voleva ricreare un’atmosfera come in Pornography (1982) e Disintegration.   Diciamo subito che il confronto comunque non regge, Disintegration è e resta irraggiungibile, ma la qualità di Songs of a Lost World cresce ad ogni ascolto e si riallaccia all’album del 1989 per tanti versi: per i testi, per le sonorità e per l’atmosfera generale, e di certo è un gran bell’album: il nostro voto è 9. Consigliamo un ascolto in cuffia o a volume alto con un buon impianto per godere appieno non solo della voce – notevole per l’età – di Smith in ottima forma, ma anche della raffinata ricerca dei suoni che costellano questo album. Vi perdereste degli elementi che fanno comprendere quanto questa opera sia veramente ricercata e complessa, perfetta nel creare un amalgama sonoro che ci avvolga nelle sue spire.   Se si considera poi che dopo le punte toccate dalla band con il già nominato Disintegration (1989) e Wish (1992) gli album successivi (su tutti Wild mood swings del 1996) non sono stati da ricordare, con l’eccezione di Bloodflowers (2000), Songs of a Lost World è una vera e propria boccata di ossigeno per i fan. Ad affiancare Robert Smith sono il fedele Simon Gallup al basso, Roger O’Donnel alle tastiere, Reeves Gabrels alla chitarra e Jason Copper alla batteria.   Songs of a Lost World è per certi versi una summa matura delle punte toccate dalla band fra fine anni ’80 e inizio anni ’90 che ci immerge nel decadentismo imperante dei nostri tempi. Robert Smith e soci hanno infatti voluto non solo riprendere quelle sonorità, ma anche attualizzarle e realizzare un album sincero, senza strizzare l’occhio alle dinamiche del marketing con inserimenti di brani facili e commerciali: si è capito subito dal primo ascolto della intro strumentale del brano di apertura Alone, lunghissima per i canoni musicali del nostro tempo. Proseguendo con l’ascolto godetevi l’apertura armonica di And nothing is forever e lasciatevi cullare da A fragile thing, brano che difficilmente vi toglierete dalla testa. Warsong e Drone:Nodrone invece ci portano improvvisamente in atmosfere più dure che ricordano quelle di Wish. È I can never say goodbye che di nuovo ci proietta nella dimensione onirica prevalente dell’album, mentre la successiva All I ever am ci coinvolge subito con una base ritmica trascinante che  fa venire voglia di non uscire mai da questo disco di cui ci sembra di far parte. Chiude l’album una epica Endsong di ben dieci minuti, devastante per intensità e che chiude il cerchio aperto con Alone.   Le sonorità sono dense ma fresche, non danno assolutamente l’idea di ricalcare qualcosa di già fatto, e danno all’album energia e coerenza. Tutti i brani sono notevolmente ispirati (di mezzo ci sono la perdita dei genitori, del fratello e l’incombere dell’età) e si muovono in atmosfere dark rischiarate da luce lunare che rende il tutto sognante, non opprimente. Una luce lunare rischiara le tenebre dei testi: il disco si doveva intitolare Live from The Moon  e Endsong è stata scritta anche pensando ai cinquanta anni dello sbarco dell’uomo sulla luna. And I’m outside in the dark / Staring at the blood red moon, sono i primi versi del brano conclusivo dell’album.   Songs of a Lost World è un album armonico, non ci sono brani che stridono, tutto fila via con un’atmosfera irreale. I Cure hanno ricreato un mondo sonoro musicale perduto a cui essi in primis avevano dato un sound unico attualizzandolo con uno nuovo che riflette il mondo attuale.   Difficile scegliere quali edizioni comprare: oltre alle versioni standard si può optare per la doppia cassetta che oltre all’album “normale” offre i brani esclusivamente strumentali, o per il triplo cd che, oltre al cd standard propone un dvd blu ray e uno con le versioni strumentali; se andiamo sul vinile possiamo scegliere il doppio vinile half-speed da 180 gr oppure quello bianco, sempre da 180 gr, o quello color marmo. A voi l’ardua scelta. Per la cronaca Smith ha parlato anche di un nuovo album in lavorazione virtualmente finito, e che potrebbe arrivare anche un terzo disco. Ma intanto godiamoci questo.      

CCCP – Tour alla conclusione: cosa accadrà dopo?

– di Gianmarco Caselli –   Con la data del 27 agosto al Festival Settembre Prato è Spettacolo, organizzato da Fonderia Cultart in collaborazione con il Comune di Prato, rimane un’ultima data – a Mantova il 29 agosto – per il tour dei CCCP Fedeli alla Linea: “In fedeltà la linea c’è.”. Un tour che abbiamo seguito fin dalla sua prima epica data il 21 maggio a Bologna con quasi novemila persone ad assistere allo storico ritorno sulle piazze italiane della band simbolo del punk italiano. Una reunion preceduta dall’imponente mostra ai Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia sulla storia del gruppo.   Il ritorno dei CCCP, che si erano sciolti nel 1990 con quattro album all’attivo che hanno segnato indelebilmente la storia del punk italiano, è stato tanto atteso quanto incredibile.     Il tour ha avuto un successo strepitoso, e forse è andato anche oltre le previsioni del gruppo stesso, accompagnato da un merchandising notevole, nonché dalla pubblicazione di un nuovo album, Altro che nuovo nuovo: il primo live dei CCCP risalente al 1983. Quello che sicuramente ha funzionato è stato vedere sui palchi un gruppo vivo, non l’imitazione di se stesso: chi è stato ad almeno una data del tour, ha visto i CCCP, con Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici e Danilo Fatur, affiatati e coinvolgenti come se non ci fosse stata una pausa lunga più di trenta anni.   La storia dopo i CCCP la conosciamo tutti: nell’ultimo disco del 1990, Epica Etica Etnica Pathos erano entrati nella formazione alcuni ex Litfiba come Gianni Maroccolo e lo storico batterista Ringo De Palma (per la cronaca sarà l’unico album dei CCCP con una batteria vera poi, ultimato l’album, Ringo purtroppo lascerà la nostra valle di lacrime) e da questa formazione “allargata” con ben otto musicisti, sciolti i CCCP, nacquero i CSI – Consorzio Suonatori Indipendenti. Con la clamorosa fuoriuscita di Zamboni e lo scioglimento dei CSI, nasceranno i PGR Per Grazia Ricevuta e, in un lancinante e inesorabile gioco al massacro di sottrazione di componenti dalla formazione, i PG3R costituiti solo da Ferretti, Maroccolo e Giorgio Canali.     In ogni caso, i CSI non erano i CCCP: questi non esistevano più dal 3 ottobre del 1990, data della riunificazione tedesca.  Un’assenza che sembrava definitiva, durata più di trenta anni e durante la quale, finiti anche i CSI e i PGR, soprattutto Zamboni e Ferretti hanno proseguito con le loro carriere soliste. A questo proposito, se vi piacciono le sonorità alla CSI, se non lo avete ancora fatto ascoltate La mia patria attuale, album solista di Zamboni del 2022, e rimarrete piacevolmente sorpresi. Non mancano le polemiche ovviamente, per i prezzi dei biglietti e del merchandising, ma del resto i CCCP sono sempre stati in grado di sollevarle, a partire da quando firmarono il contratto con la Virgin che fu sicuramente determinante nel proiettare il gruppo in un’orbita meno di nicchia ma che – allo stesso tempo – sollevava malumori fra i fan duri e puri della scena alternativa. Per non parlare, ovviamente, delle prese di posizione politiche e religiose di Ferretti. Ma del resto il punk è anche questo, provocazione: basti pensare ai Sex Pistols con Sid Vicious che ostentava la svastica, al contratto con la EMI, al Filthy Lucre Tour (il tour reunion dichiaratamente fatto a scopo di lucro). E comunque tutto ciò ha permesso di far conoscere al grande pubblico un gruppo, i CCCP, con una musica completamente nuova per il panorama musicale italiano, e unico anche per i testi e le performance di Annarella e Fatur. Sul palco la band per il tour ideato da Musiche Metropolitane è stata accompagnata da Luca Rossi, Simone Filippi, Ezio Bonicelli, Simone Beneventi e Gabriele Genta   Adesso manca la data di Mantova per chiudere il tour.   La domanda fatidica è cosa accadrà dopo.   Se da una parte molti immaginano che venga pubblicato un disco live testimonianza di questo tour, quello che tutti i fan sperano veramente è che la band non scompaia nuovamente (e definitivamente) e che riprenda la propria attività realizzando magari un nuovo album di inediti. Una speranza forse esagerata, ma a questo punto tutto è possibile.    

Nuova data a Prato per il tour dei CCCP

– di Gianmarco Caselli –   Si aggiunge a Prato una nuova data per il tour dei CCCP Fedeli alla Linea il 27 agosto prossimo nella programmazione del Festival Settembre Prato è Spettacolo. Un ritorno alla grande, quello della band icona del punk italiano, con un tour che è già storia, iniziato con l’ormai leggendaria data a Bologna del 21 maggio scorso.   Un tour, quello dei CCCP, che non è un’operazione nostalgica ma un vero e proprio evento che dà una scossa alla stagnante musica italiana. La formazione è al completo, quello che per i fan sembrava un sogno irrealizzabile è diventato incredibilmente realtà: Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Danilo Fatur e Annarella Giudici danno voce non solo alla generazione che li ha visti in auge negli anni ’80, ma anche alle nuove leve che non vogliono omologarsi alla musica mainstream.     Sul palco di Piazza Duomo a Prato i CCCP daranno vita a un evento che va quindi oltre il tradizionale concetto di concerto grazie alle performances di Annarella e Danilo Fatur, coinvolgenti e instasncabili. In scaletta i grandi classici della band, alcuni dei quali rivisitati, da 1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età del 1985 a Epica Etica Etnica Pathos del 1990. Il Festival Settembre Prato è Spettacolo, è organizzato da Fonderia Cultart in collaborazione con il Comune di Prato.