Gianmarco Caselli

Compositore, ideatore e direttore artistico di Lucca Capannori Underground Festival, suona nel gruppo industrial punk CRP Collettivo Rivoluzionario Protosonico di cui è fondatore. Giornalista, musicologo e professore di italiano e storia al Liceo Artistico Musicale di Lucca, direttore responsabile di La Settima Base. Gianmarco Caselli is Composer, creator and artistic director of Lucca Capannori Underground Festival, founder of industrial post punk musical group CRP Collettivo Rivoluzionario Protosonico. Journalist, musicologist and professor of Italian and history at the Liceo Artistico Musicale in Lucca - editor in chief of La settima base

I CCCP infiammano Bologna

– di Gianmarco Caselli – I CCCP Fedeli alla linea di nuovo insieme sul palco in Piazza Maggiore a Bologna. Chi era presente in quella piazza martedì 21 maggio sa di avere partecipato a uno spettacolo unico, indimenticabile e potrà dire un giorno: io c’ero. Una piazza gremita all’inverosimile, quasi novemila persone, accorse per assistere a un evento a dir poco storico per la musica italiana. Non si tratta infatti “solo” della riunione del gruppo simbolo del punk italiano, ma anche della prima data del tour nella penisola e, cosa assolutamente non secondaria, si è tenuto a Bologna (cosa non indifferente essendo i CCCP un gruppo punk emiliano). Un’emozione che lascia quasi sconvolti pervade il pubblico quando sul palco salgono i quattro CCCP: Massimo Zamboni, Giovanni Lindo Ferretti, Danilo Fatur, Annarella Giudici. Difficile dire se il tempo si è fermato o ha ripreso a muoversi. Una sensazione ovviamente ancor più forte di quella che abbiamo potuto provare visitando la mostra “Felicitazioni” a Reggio Emilia. Di certo, per chi ha minimo una quarantina di anni, si tratta di una sensazione strana, stranissima. Da un lato è ovviamente fantastico, soprattutto per chi è cresciuto con la musica dei CCCP e magari li ha visti suonare, rivederli insieme, rivivere quelle emozioni. Però è anche straniante soprattutto sentire certi testi in un contesto storico culturale completamente diverso. Quando la band attacca con “Depressione caspica” il pubblico realizza che tutto è vero, i CCCP stanno suonando di nuovo insieme. E dal secondo brano, “Rozzemilia”, si scatena l’inferno con un pogo che non si placa quasi mai dall’inizio alla fine del concerto.     Ferretti si è sbarbato, non ci sono più i baffoni con cui lo vedevamo negli ultimi tempi e questo particolare ci fa credere ancor più di essere tornati ai vecchi tempi; canta per la maggior parte del concerto con le mani in tasca, spesso con gli occhi chiusi: la tensione per un evento del genere è palpabile, sembra sciogliersi con mezzi sorrisi solo quando, un paio di volte, Annarella va da lui per fargli una carezza o per offrirgli una sigaretta. Anche Fatur a un certo punto gli dà una pacca. Zamboni è più a suo agio, si diverte sul palco e si vede; quando poi prende il microfono e si mette a cantare Kebabträume dei DAF saltellando, esprime tutta la sua voglia e la sua felicità di avere di nuovo i CCCP riuniti. Il sorriso è costantemente stampato sulla sua faccia.La chitarra di Zamboni è perfetta, il sound è quello che i fan vogliono, quello originario della band, anche quando le musiche vengono presentate in vesti nuove, in rielaborazioni. Annarella cambia più volte personaggio, ora vestita in un burka, ora avvolta nel tricolore italiano, ora con la bandiera del PCI, e corre imperturbabile alternando il tutto a brevi letture. E che brividi sentirla introdurre, urlando, “Emilia paranoica”; che emozione lancinante quando tira il suo grido a “bombardieri su Beirut.” Fatur è semplicemente meraviglioso:  sfodera il suo fisico che non è propriamente scultoreo come una volta, e interagisce con il pubblico anche con espressioni facciali che solo quelli nelle prime file come noi – nonostante il pogo allucinante – hanno avuto la fortuna di ammirare nella sua interezza.     Ferretti si rivolge direttamente al pubblico solo nel finale quando esprime, a nome del gruppo, il proprio piacere di essere lì, con una sua tipica, breve risata rilassata e liberatoria. Sono quasi una trentina i brani che sono stati eseguiti per più di due ore di concerto. Un’immersione surreale e allucinante. Se ne esce sconvolti e consapevoli che non tutto è finito, un’esperienza che va oltre il concerto, un rito ancestrale che ci fa sentire che una parte di Italia ancora c’è, e chi era presente sa di farne parte. Forse alcuni di noi realizzeranno solo in questi giorni di avere partecipato a qualcosa di epico. E ora i fan si augurano di vedere presto il vinile e il dvd di questa serata.  

Giacomo Puccini fotografo

“Qual occhio al mondo”. Puccini fotografo – La mostra allestita alla Fondazione Ragghianti rivela un nuovo aspetto del compositore lucchese   – di Gianmarco Caselli   È un Giacomo Puccini del tutto inedito e sconosciuto quello che viene proposto nella mostra “Qual occhio al mondo”. Puccini fotografo alla Fondazione Ragghianti di Lucca aperta fino al 1° aprile. Realizzata dalla Fondazione Centro studi Licia e Carlo Ludovico Ragghianti in collaborazione con la Fondazione Simonetta Puccini per Giacomo Puccini di Torre del Lago e il Centro studi Giacomo Puccini di Lucca, l’esposizione svela infatti una passione del compositore che non conoscevamo.   La mostra si articola in più sezioni basandosi sui materiali conservati nell’Archivio Puccini di Torre del Lago, e in piccola parte provenienti da altri fondi. Una vera e propria sorpresa: fino all’apertura dell’Archivio Puccini di Torre del Lago (Lucca), in particolare quando è stata concessa agli studiosi la consultazione della più importante parte della documentazione, nessuno immaginava di trovarvi pellicole e fotografie realizzate dal compositore stesso. Sono oltre ottanta le fotografie esposte. E se Puccini ha interpretato le emozioni e il mondo con la sua musica, qui possiamo ammirare come interpretasse il mondo anche con la macchina fotografica. Ai tempi del compositore non solo non era così scontato possedere una macchina fotografica, anzi. Puccini, amante delle nuove tecnologie, ce l’aveva, anch’essa esposta a Lucca, un raro modello Kodak No. 4 Panorama Camera Model B, apparecchio a cassetta (realizzato in metallo, legno e vetro) ricoperto in cuoio e prodotto nel 1899. Anche solo per le dimensioni, non piccole come le fotocamere a cui siamo abituati da anni, è evidente come scattare fotografie da parte del compositore fosse qualcosa di più che un passatempo.     Non mancano notevoli scatti di complessi architettonici e vedute panoramiche di città visitate dal compositore come New York, ma  uno dei soggetti che attira maggiormente Puccini è la natura selvaggia, incontaminata, a partire dal “suo” Lago di Massaciuccoli. Non si può rimanere indifferenti di fronte alle foto in cui il compositore ritrae  i cavalli nella pampa o l’oceano, catturato in quella che avrebbe potuto essere una semplice fotografia ricordo scattata dalla nave, e che invece grazie a Puccini emerge in tutta la sua forza naturale, irrazionale e indomita.   Nelle fotografie del compositore il confine fra fotografia artistica e scatto per “immagazzinare” nella memoria impressioni da trasferire forse in seguito nelle opere, è sottile. È questa la vera sorpresa e il valore di una mostra che va al di là della mera curiosità dello scoprire un Puccini anche fotografo.    E Puccini, sempre acuto, conscio di ciò che poteva essere valido e di ciò che poteva non esserlo durante la stesura delle proprie musiche, è probabilmente consapevole anche della validità artistica di alcuni dei suoi scatti. Ne è prova una fotografia in cui il compositore lucchese ha immortalato due barche sul lago di Massaciuccoli. Da questa foto Puccini farà realizzare una cartolina e, sotto l’immagine, scriverà a penna «!Opera mia!».     Per quanto si tratti di una annotazione ironica, è chiaro come il musicista sia consapevole di avere realizzato qualcosa di artistico, un’opera creata con una tecnologia relativamente nuova che può gareggiare con la pittura. E non a caso questa cartolina è indirizzata al pittore Guglielmo Amedeo Lori, esponente non di secondo piano del Divisionismo. Nella parte finale della mostra troviamo una serie di bellissimi ritratti fotografici del compositore fra i quali quelli che hanno tramandato la sua iconica immagine così come la conosciamo noi oggi. L’esposizione, a cura di Gabriella Biagi Ravenni, Paolo Bolpagni e Diana Toccafondi, sarà visitabile gratuitamente fino al 1° aprile 2024 nella Sala dell’affresco del Complesso di San Micheletto a Lucca, con ingresso da via Elisa, 8.     La mostra, realizzata con il supporto della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, si avvale del patrocinio della Regione Toscana e della Provincia e del Comune di Lucca, con la partnership della Fondazione Giacomo Puccini di Lucca, della Fondazione Festival Pucciniano di Torre del Lago e dell’Associazione Lucchesi nel Mondo, ente gestore del Museo Pucciniano di Celle. Il comitato scientifico della mostra è costituito da Claudia Baroncini, Barbara Cattaneo, Maria Pia Ferraris, Michele Girardi, Giovanni Godi e Umberto Sereni.   Per l’occasione è stato realizzato un catalogo (Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte) contenente le riproduzioni di tutte le fotografie esposte e i testi di Gabriella Biagi Ravenni, Paolo Bolpagni, Manuel Rossi ed Eugenia Di Rocco.     Sede Sala dell’affresco | Complesso di San Micheletto | Lucca Ingresso da via Elisa n. 8   Orari dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18 apertura straordinaria lunedì 1° aprile   | Ingresso gratuito |    www.fondazioneragghianti.it info@fondazioneragghianti.it tel. 0583.467205    

Marlene Kuntz Catartica 2024

I Marlene Kuntz a Livorno con la “data zero” del nuovo tour!

– di Gianmarco Caselli – Catartica dei Marlene Kuntz rivive nella “data zero” che fa partire il tour dedicato al trentennale del loro album d’esordio I Marlene hanno letteralmente inondato di fan il The Cage di Livorno con il concerto di presentazione di Catartica 2024, tour nato per celebrare i trenta anni dell’omonimo disco d’esordio della band: Catartica, appunto.   Per l’anniversario è uscita anche la ristampa di Catartica, sia in formato cd che in doppio lp, entrambi corredati da libretto con foto inedite e un box deluxe in edizione numerata e limitata. I Marlene Kuntz –  Cristiano Godano (voce e chitarra), Luca Lagash Saporiti (basso), Riccardo Tesio (chitarra), Davide Arneodo (tastiere) e Sergio Carnevale (batteria) – a Livorno hanno fatto rivivere ai fan la forza dirompente di un album che, quando uscì, segnò una nuova via della musica alternativa italiana. Un album che, a sentirlo suonare dal vivo oggi, stupisce ancora di più pensando a quanto abbia influito sulle band alternative italiane e a quanto fosse viva e attiva la musica nel nostro paese negli anni ‘90: ad ascoltare la musica banale e omologata che spadroneggia oggi in Italia, sembra quasi che quel periodo così musicalmente creativo e pieno di fermento culturale, non sia mai esistito. La band nel dicembre scorso ha ricevuto il Premio Ciampi alla carriera, e Godano ha anche ricevuto il Premio Lucca Capannori Underground Festival 2023 per la diffusione della cultura underground.     I Marlene dal vivo oggi sono ancora più potenti, un muro di suono esplode dal palco e affonda sul pubblico. Godano non si risparmia, salta e si infuria sulla chitarra. Ci sono pochissimi momenti di relativa quiete, la macchina dei Marlene travolge il tempo e fa sentire presenti e attuali gli anni ‘90. Godano parla poco, chiarisce che i brani di questo tour sono tutti “pre-2000” e i fan rispondono calorosamente, in particolare quando, al secondo bis, il cantante rende il giusto omaggio  all’ex batterista – tra i fondatori del gruppo – scomparso a marzo 2023: “Questo tour è dedicato a Luca Bergia che ha creato con noi Catartica.”   La scaletta del concerto: Trasudamerica Canzone di domani Gioia (che mi do) Fuoco su di te Aurora L’agguato Lamento dello sbronzo Mala mela 1° 2° 3° Infinità Ineluttabile Lieve Festa mesta Sonica Nuotando nell’ariaPrimo bis: Come stavamo ieri Ape regina M.K. Secondo bis: Ti voglio dire Bellezza  

CCCP Felicitazioni: il punk non è morto!

– di Gianmarco Caselli – Ultimissimi giorni per visitare la grande mostra “FELICITAZIONI! CCCP – Fedeli alla linea. 1984 – 2024” allestita ai Chiostri di San Pietro di Reggio Emilia: la mostra ha superato le 25.000 presenze nei primi tre mesi di apertura e la chiusura è stata prorogata al 10 marzo.   Una mostra che va in parallelo con il ritorno sulle scene dello storico gruppo punk emiliano. Una reunion che ha subito registrato il sold out con tre date a Berlino e che presto arriverà sui palchi italiani. Un ritorno che sembrava impensabile fino a che non sono apparsi i primi rumors nel 2022, anche se lo stesso Massimo Zamboni, al Lucca Capannori Underground Festival 2022 di cui era uno degli ospiti di punta, non si era allora pronunciato.     Della mostra si è detto e scritto di tutto e di più ma vi consigliamo vivamente, se non siete ancora andati a visitarla, di affrettarvi e farvi la vostra personale idea di questo viaggio che sicuramente sarà anche un po’ il vostro personale viaggio nell’universo musicale, ideologico e culturale che forse avete vissuto in quegli anni insieme alla band icona del punk italiano. L’ allestimento, fuori dall’ordinario senza ombra di dubbio, proietta il visitatore nel mondo dei CCCP attraverso ben 25 sale in un percorso che merita almeno due ore di visita. E non si tratta ovviamente di una sola esposizione di cimeli, anzi: si tratta soprattutto di una mostra immersiva, che fa sentire il visitatore parte di quel mondo, più o meno come può accadere durante un concerto o uno spettacolo.     Sono tanti e diversificati gli allestimenti nelle diverse stanze di questa mostra, così come sfaccettato, poliedrico e variegato era il mondo dei CCCP. Un mondo che si è complicato ancora di più dopo la rottura fra Zamboni e Ferretti e le  varie prese di posizione politiche del secondo (mentre invece Zamboni è sempre rimasto fedele alla linea). Così si passa da stanze dove possiamo ammirare cimeli e fotografie dei CCCP, ad altre in cui siamo immersi nella loro musica a tutto volume con altoparlanti che calano dal soffito, o in cui siamo sommersi da proiezioni video delle loro esibizioni o, ancora, dove dobbiamo passare in mezzo a gigantografie dei dirigenti dell’URSS e dei suoi stati satellite mentre siamo avvolti dalle note dell’Inno Sovietico. Perché sì, c’è anche questo ovviamente: la Storia, quella con la S maiuscola, e non potrebbe non essere presente in una mostra dedicata a un gruppo che già nel nome dà una chiara indicazione del proprio indirizzo ideologico. E questo è forse il primo vero impatto che abbiamo quando, nel chiostro principale subito poco dopo l’entrata, vediamo una Trabant accanto a un blocco del Muro di Berlino.     Tutto lascia una sensazione strana, stranissima. Ma emozionante. Per chi ha vissuto quei tempi, c’è sicuramente una punta di nostalgia che si affaccia, soprattutto pensando ai nostri, di tempi, con la musica italiana tendenzialmente appiattita su cliché e falsa provocazione. Difficilissimo pensare a un gruppo oggi che non nasca da una mera logica di mercato. Certo è che si prova anche un brivido pensando a quante analogie ci sono oggi con gli anni ’80, con il ritorno alla minaccia nucleare, al mondo diviso in due blocchi con una Russia antagonista dell’occidente. E allora forse non è un caso che appunto siano tornati i CCCP. E non importa se i nostri sono naturalmente invecchiati, anzi: il messaggio è ancora più potente, tornano da dove avevano finito senza cambiare una virgola, come se nel frattempo non fosse accaduto nulla. Sembra quasi che il messaggio sia che la band è tornata perché sono tornati tempi analoghi a quelli degli anni ’80 ma non c’è nessuno a fare quello che facevano loro, e qualcuno deve pur farlo: i CCCP. E questo conforta coloro che, ai tempi già li seguivano: il punk non è morto, i CCCP non sono morti, e pure i visitatori che sono cresciuti con loro e con la loro musica non si sentono più morti. Si sentono vivi, più vivi che mai come i CCCP. Impossibile rimanere indifferenti.   La mostra è stata prodotta e organizzata dalla Fondazione Palazzo Magnani e dal Comune di Reggio Emilia. La grafica della pubblicazione e i loghi della mostra sono stati creati da Matteo Torcinovich per Interno4 edizioni. Il progetto allestitivo è curato da Stefania Vasques e si arricchisce dei contributi artistici di Arthur Duff, Roberto Pugliese, Stefano Roveda e Luca Prandini; il light design è firmato da Pasquale Mari. Il progetto espositivo è realizzato grazie ai Fondi europei della Regione Emilia-Romagna. Hanno contribuito alla realizzazione della mostra Coopservice e Coop Alleanza 3.0.        

OOOHM Festival

Al via OOOMH Festival (Out Of Ordinary Music Hills Festival) da un’idea di Antonio Aiazzi!

– di Gianmarco Caselli – Prende il via la prima edizione di OOOMH Festival (Out Of Ordinary Music Hills Festival), un festival musicale di “suoni diversi dal solito, ricercati, che vanno dall’elettronica all’ambient, dall’art rock alla sperimentazione” nato da un’idea di Antonio Aiazzi e Simone Stefanini. Tre giorni di musica in cui si esibiranno a Guardistallo, dal 19 al 21 gennaio 2024, artisti come il duo costituito dal membro fondatore degli  Einsturzende Neubauten, Alexander Hacke, con Danielle De Picciotto, e lo stesso Antonio Aiazzi con l’amico, nonché collega musicale dai tempi dei Litfiba, Gianni Maroccolo. Il Festival è organizzato da Arte Residente e Ass. Piccola Parigi. Abbiamo intervistato Antonio Aiazzi che, insieme a Gianni Maroccolo, a novembre scorso, è stato ospite di Lucca Capannori Underground Festival 2023. Durante l’evento, co-condotto da Master Mixo, Aiazzi e Maroccolo hanno ricevuto il Premio Lucca Capannori Underground Festival per la diffusione della cultura Underground.     Aiazzi, un Festival nuovo ha bisogno di una presentazione. Avevamo iniziato a ragionare all’interno dell’associazione Arte Residente di cominciare a fare un festival. L’occasione si è presentata perché abbiamo dei partner sulla costa, e uno di questi aveva ricevuto la proposta del concerto di Hacke-De Picciotto. È stata la scintilla per organizzare un festival a Guardistallo, un festival il cui titolo fa già capire che andiamo a fare cose fuori dall’ordinario.   OOOMH si terrà nel contesto del teatro Marchionneschi, un teatro di fine Ottocento nel borgo toscano di Guardistallo (PI), in una collina a due passi dal mare. Sì, a Guardistallo mi sono legato al Teatro Marchionneschi dove, quasi tre anni fa, abbiamo portato delle prove di Mephisto Ballad con Maroccolo, e da quel momento ho cominciato a fare una progettazione di gestione molto sperimentale: è un vero e proprio centro di produzione. Abbiamo acquistato varie tecnologie – come i mixer digitali – e i camerini sono stati trasformati in regie audio. Non è un teatro come si concepisce solitamente con la compagnia teatrale, gli spettacoli e gli abbonati. È un luogo dove si registrano dischi, si fanno residenze musicali, e abbiamo costituito una rete intorno al teatro che riguarda gli appartamenti per le residenze, convenzioni con ristoranti etc. È la forza del borgo. Tutto questo per adesso senza fondi istituzionali.   Fare un festival del genere oggi non è proprio facile. Ma è anche la sua forza. È anche una prova per capire il territorio, che fra l’altro ora, essendo sul mare, è anche al minimo della presenza. Ma dovevamo iniziare. Ci tenevo perché vorrei provare a fare anche un’edizione estiva. In questi primi tre eventi si passa dalla musica di Satie e Glass con il primo appuntamento che vede esibirsi Alessandra Celletti, a Hacke-De Picciotto con il mondo musicalmente sperimentale che si portano dietro; il terzo appuntamento, di pomeriggio, sarà con Fabio Capanni – musicista molto particolare che ha suonato tanto all’estero – insieme a me, Gianni Maroccolo e Luca Fucci. In questa occasione eseguirò due brani  “nuovi”: erano nel computer da anni e riascoltandoli li ho trovati bellissime.           Con Maroccolo proseguono amicizia e collaborazione. Dopo il bellissimo “Mephisto Ballad” avete già in mente altro? Qui arriverà una produzione per un progetto con lo scienziato Telmo Pievani e faremo uno spettacolo con la band di “Nulla è andato perso” su cui lavoreremo per almeno un mese, ma è solo una delle tante. Pensi che la musica alternativa stia ricostruendo un proprio habitat? Mah… secondo me è un problema che va oltre la musica. Si deve capire come riportare un pubblico a vedere un concerto. Se vai alla ricerca di cose fuori dagli schemi questo è un bacino ancora piccolo. Bisogna lavorarci tanto. Iniziamo un investimento. speriamo che possa venire supportato maggiormente durante l’estate.                    

Il giovane Mel Brooks in un fumetto di Isabella Di Leo!

– di Gianmarco Caselli “Mel Brooks & Sid Caesar: È bello essere il re!”, il nuovo fumetto di Isabella Di Leo dedicato a Mel Brooks edito dalla casa editrice “Becco Giallo”, è stato presentato in anteprima a Lucca Comics & Games 2023. Un volume di ben 300 pagine in cui la Di Leo ritrae Mel Brooks che ripercorre la propria storia personale raccontandola a Gene Wilder durante le fasi finali di montaggio di “Frankenstein Jr”.     Una storia che non può non appassionare e che si incrocia con quella di Sid Caesar, uno dei pionieri della televisione americana anni ’50 con i programmi “Your Show of Shows” e “Caesar’s Hour” che intrattenevano ogni sabato sera più di trenta milioni di americani davanti allo schermo. Fu proprio Caesar a scoprire Mel Brooks e fra i due scatterà qualcosa di più di un rapporto lavorativo. Ed è proprio nell’approfondimento della psicologia dei due personaggi che la Di Leo dà il meglio di sé scovando i demoni che agitavano i due showmen. Abbiamo intervistato la Di Leo a Lucca Comics & Games 2023. Il tuo precedente lavoro era su “Frankenstein Jr.” Questo è il tuo secondo libro su Mel Brooks: è una dipendenza? Lo è, ne sono appassionata da quando sono ragazzina. Adesso che sono ufficialmente diventata fumettista volevo fare un omaggio al mio più grande idolo. Quindi è una scelta tua. Assolutamente sì, l’ho proposta io. La prima idea su Frankenstein Jr l’ho proposta nel 2019 e questa quasi due anni fa. La casa editrice “Becco Giallo” è stata felicissima di accogliere entrambe le idee. Tu hai scritto solo la sceneggiatura o sei autrice anche del resto? Esattamente, sono autrice di tutto: soggetto, sceneggiatura, inchiostri e colore. Perché hai detto “adesso che sono ufficialmente diventata fumettista”? Perché ho cominciato a stampare nel 2019 con Triplo guaio, non sono più autrice solo con strisce sul web. In questo lavoro hai approfondito il Mel Brooks degli esordi. Chi era? In Italia Mel Brooks è più conosciuto da quando ha cominciato a fare Frankenstein Jr. Non è molto conosciuto il Brooks ventenne, che era un bravissimo sceneggiatore televisivo che ha collaborato con i più grandi comici del periodo come Jerry Lewis e Woody Allen. Immagino tu abbia dovuto sacrificare qualcosa: ti è dispiaciuto lasciare da parte qualcosa in particolare? Qualche gag che avrebbe reso ancora più umano Mel Brooks ma già il fumetto è di trecento pagine, dovevo assolutamente tagliare qualcosa che poi magari metterò sui social per i miei fan. Cosa hai invece privilegiato? I suoi demoni: ciò che ha vissuto come soldato in guerra, come questa esperienza lo abbia trasformato, come gli abbia procurato delle nevrosi. È la parte di lui che meno si conosce: lo si conosce come pagliaccio ma era importante far vedere come questo pagliaccio nasca anche da tali nevrosi. E tu hai scoperto qualcosa che non conoscevi di lui? Prima di cimentarmi in questa biografia ho comprato libri e interviste e ho scoperto proprio questo lato più nascosto, i traumi lasciati dalla guerra, gli attacchi paranoidi da cui era afflitto. Lo stile del disegno: resta il tuo tratto o c’è qualcosa che hai cambiato per narrare questa storia? Credo di avere avuto influenze con gli artisti che più copiavo da ragazzina come Toriyama di Dragon Ball, Bruce Timm di Batman, Don Rosa di Walt Disney. Nel mio stile c’è un pelo di loro tre. No, ho mantenuto il mio stile per raccontare questa storia.  

Sara Vettori e Caterina Scardillo a Lucca Comics & Games 2023 - cover

Vorreste stupire i vostri amici con una cena a base di sirena e unicorno ma non conoscete le ricette? Ecco il libro che fa per voi!

di Gianmarco Caselli Avete intenzione di stupire i vostri amici a cena? Niente di meglio che preparare un bel Kraken cacciuccato alla livornese o sfilacci di unicorno con polenta o perché no… una sirena in scatola sott’olio. Ma se non è un problema reperire questi animali fantastici, lo è invece trovare le ricette per cucinarli. O almeno lo era fino a oggi, perché adesso abbiamo a disposizione un pratico ricettario immaginario edito da Edizioni NPE e che si intitola proprio Animali misteriosi e come mangiarli. Un libro in stile ottocentesco arricchito da illustrazioni ispirate ai bestiari medievali e ai libri di cucina del XIX secolo. Un volumetto prezioso e anche fortemente ironico che, nella quarta di copertina, per fugare ogni dubbio di noi animalisti, chiarisce: “Nessun animale, né reale né ovviamente immaginario, è stato maltrattato durante la realizzazione di questo libro.” Questo piccolo gioiello culinario, che non potrà più mancare nelle nostre cucine, è realizzato dalla Imaginary Travel Ltd, un trio costituito da Michele Mingrone (autore e coordinatore del progetto), Sara Vettori (illustrazioni originali) e Caterina Scardillo (progetto grafico, impaginazione e calligrafia), autori anche di altri due volumi in stile ottocentesco: I luoghi di Lovecraft, e il bellissimo Vampiri, dove trovarli. Abbiamo incontrato Sara Vettori e Caterina Scardillo a Lucca Comics & Games 2023 e le abbiamo intervistate. Imaginary Travel Ltd può essere definito una sorta di piccolo collettivo? Caterina Scardillo: Esattamente. Abbiamo creato questo nome immaginario Imaginary Travel Ltd appunto,come fosse una società inglese; ma siamo io, Sara e Michele che è poi l’ideatore e curatore di tutti e tre i libri. Siete sempre e solo voi tre o siete stati affiancati anche da altri collaboratori per le vostre pubblicazioni? C.S. Abbiamo realizzato tutti i nostri libri insieme ma abbiamo avuto anche qualche ospite, qualche capitolo nei vari libri è stato scritto a più mani con altri autori fra cui Federico Guerri “Sindaco di Nerd”, Mario Venturella, Fulvia Cipriani, Francesca Cherici… Sara Vettori.: Per ogni libro abbiamo dei collaboratori, ci piace collaborare, l’unione fa la forza. È bello avere più voci all’interno di ogni volume. Chi sceglie il tema da trattare in ogni nuovo lavoro? C.S.: L’idea del libro la scegliamo noi tre insieme all’editore. I temi sono sempre noir come piace a noi; una volta scelto il tema, Michele scrive il testo e contemporaneamente Sara (Vettori) crea illustrazioni per ogni capitolo a partire dalla suggestione che le viene dal testo di Michele. I loro lavori corrono paralleli. Quando hanno finito la loro parte, arrivo io come ultima staffetta che impagino il tutto tenendo un filo conduttore di tutti gli elementi e cercando di essere aderente al periodo storico in cui si ambientano i libri. Perché queste che realizziamo vogliono si propongono come guide immaginarie turistiche d’epoca. Sono guide immaginarie di fine ‘800. Che tecniche utilizzate per realizzarle in uno stile che ricalchi quello di tale epoca? C.S.: Mentre Sara deve tenere conto delle tecniche di stampa, io devo tenere conto dei caratteri tipografici: tutto deve essere coerente con l’epoca in cui si finge sia uscito il libro. S.V.: Principalmente sono un incisore, quindi utilizzo la xilografia e la calcografia, ma è impensabile realizzare 150 illustrazioni con queste tecniche perché richiedono tempi molto lunghi. Per ogni libro quindi ne utilizzo varie, dal carboncino alla grafite, all’acquarello e molte incisioni. Ogni tecnica è finalizzata per quello che voglio realizzare, al tema della storia o al particolare da descrivere; vado molto a sentimento e cerco armonia fra tutte le tecniche. Magari parto da una base di incisione, che poi decido di acquarellare e infine il mio lavoro  può anche essere rielaborato graficamente da Caterina. Il vostro è dunque un lavoro molto artigianale… S.V.:  Molto. Anche adesso allo stand [di Lucca Comics] per fare le dediche sui libri, Caterina sta calligrafando e io sto timbrando con piccole incisioni montate su legno. Immagino che ci sia un lavoro di documentazione molto impegnativo dietro ogni lavoro. Che tipo di studio c’è dietro i vostri volumi? S.V.: Tanti libri. Michele per realizzare i suoi scritti sui vampiri è partito da Babilonia. La ricerca è veramente lunga. Noi facciamo lo stesso: Caterina per i caratteri tipografici e per tutto ciò che concerne la grafica, io anche per le illustrazioni: tutto deve essere più filologico possibile. Da vegetariano posso utilizzare questo libro? S.V.: Anche io sono vegetariana, ho scritto la ricetta delle polpette alla mandragora! E ce ne sono anche altre: quella dello Ya-te-veo, dell’agnello vegetale, dei funghi di Kingsport, e quella della baverese al Blob bianco. Ovviamente vanno cambiati gli ingredienti… A chi è venuta l’idea di fare questi libri? L’idea originaria è stata di Michele che durante laboratori svolti nelle scuole con alcuni ragazzi sul tema del viaggio immaginario, aveva provato a ricreare delle mappe sulle quali muoversi per gioco. Da qui l’idea è stata sviluppata da Sara e Michele ma in forma di libro d’arte con le illustrazioni. Inizialmente pensavano a una sorta di Lonely Planet. Poi sono arrivata io e ho pensato di introdurre un’ambientazione d’epoca un po’ retrò, un po’ vintage e abbiamo adottato questa estetica anticata.

PIL Public Image Ltd End of world

Il nuovo album dei PIL è la fine del mondo!

di Gianmarco Caselli Era stato annunciato da tempo, preceduto da ben tre singoli e finalmente è uscito: End of world, l’undicesimo album della band guidata da John Lydon. I PIL Public Image LTd Per rinfrescare un po’ le idee a chi non ricorda bene la storia, John Lydon era il carismatico cantante dei Sex Pistols, gruppo emblema del punk. Dopo avere abbandonato i Pistols, Lydon (che ai tempi era conosciuto più come Johnny Rotten) fondò appunto una nuova band, i PIL Public Image Limited. La nuova creatura di Lydon è stata attiva dal 1978 al 1992 sfornando grandi successi che sono rimbalzati nelle sale da ballo alternative per anni come Annalisa, The Flowers of Romance, This is not a love song, Rise, Death disco. Il PIL sono andati avanti fra alterne fortune e cambi di formazione fino all’interruzione dell’attività con l’album That what is not del 1992. I PIL ripartono nel 2012 con un nuovo album di inediti, This is PIL, e una nuova formazione, tre anni dopo pubblicano un secondo album, What the world needs now… e un terzo, appunto, adesso, che con il titolo si ricollega al precedente. End of world End of world è un grande album, sicuramente il più omogeneo e “fresco” della trilogia dei nuovi PIL. Questo è quasi certamente ascrivibile al fatto che dalla rinascita dei PIL nel 2012 la formazione è sempre la stessa, il gruppo è affiatato e funziona. E mentre Paul Cook e Steve Jones portano avanti sui palchi le musiche dei Sex Pistols con Billy Idol alla voce, come Generation Sex, Lydon va avanti, sperimenta e rischia sonorità nuove pur sapendo che avrebbe vita più facile proponendo brani basati su vecchi stilemi che sarebbero acclamati dai fan. End of world sorprende, è diverso dai precedenti album dei PIL e i colori azzurro e giallo oro predominanti sulla copertina riflettono una sua qualità sonora: luminoso. Un album che non è sperimentale ai livelli del mitico The Flowers of Romance del 1981 ma che riprende lo stile dei primi PIL e che senza ombra di dubbio si piazza qualitativamente ai primi posti dell’intera discografia della band. L’uscita dell’album è stata anticipata da ben tre videocilp: Penge, Hawaii e Car chase. Tre brani in stili completamente differenti l’uno dall’altro che ben danno l’idea della varietà musicale contenuta in End of World. L’album si apre con Penge, un brano potente, mastodontico, e si chiude con Hawaii, stilisticamente del tutto opposto al primo: delicato e struggente, dedicato alla moglie malata di Alzheimer e morta prima della pubblicazione dell’album. Con Hawaii i PIL hanno partecipato ad un contest per rappresentare l’Irlanda all’Eurovision. È un brano che non ti aspetti, e che Lydon ha dedicato non solo alla moglie ma anche «a chiunque debba affrontare dei periodi difficili durante la propria vita con la persona cui tiene di più». Il terzo brano, Car chase è un gioiello musicale che vi entrerà in testa e ne uscirà davvero con difficoltà. Stessa cosa dicasi per il successivo Being stupid again. Due brani trascinanti, uno dietro l’altro, che sono piccole perle musicali veramente geniali, con grandi prestazioni di chitarra e sintetizzatori e che ti fanno amare subito questo album. Tutti i successivi brani si dipanano su sonorità molto omogenee, alcuni più spinti, altri meno ma, a differenza dei precedenti album, ogni traccia funziona, non c’è un brano fuori posto e l’insieme risulta molto equilibrato. La chitarra di Lu Edmunds è semplicemente sorprendente, in grado di generare sonorità nello stile dei primi PIL in brani come Down on the clown – che segue la bellissima Strange – e North West Passage; il basso di Scott Firth è trascinante e in primo piano in più di un brano, mentre la batteria di Bruce Smith è il trait d’union di tutto l’album. Se fossimo ai tempi d’oro di questo tipo di musica, certamente alcune di queste tracce sarebbero entrate nelle playlist delle sale da ballo alternative. End of world è un piccolo grande luminoso capolavoro di musica che riunisce e amalgama sonorità e atmosfere dei primi PIL con quelle dei nostri tempi.